domenica 29 maggio 2016

LO STRESS OSSIDATIVO NELLE ULTRA MARATONE

Autore:Enrico Ponta
Biologo Nutrizionista  Evidence-based sport nutrition

Molto spesso parlando di nutrizione sportiva nelle gare di endurance ci si focalizza sull’alimentazione nella finestra di tempo prima e durante la performance, in una prospettiva di adeguato rifornimento energetico.
Se questo può forse essere sufficiente nella corsa su medie distanze, non colpisce il centro della problematica quando invece si tratta di maratone ed ultramaratone. In questa dimensione, un organo su tutti è alla base di un equilibrio delicato, sia biochimico che nervoso: l’intestino.
La funzionalità dell’intestino non dipende solo dalla velocità di assorbimento dei nutrienti, poiché esso rappresenta un organo cruciale sotto numerosi aspetti, tra cui quello della modulazione dello stato infiammatorio. La permeabilità della barriera intestinale in condizioni di salute è estremamente rigida nel determinare il passaggio di sostanze dal canale intestinale al sangue.
Uno sforzo prolungato per ore o giorni consecutivi, come nel caso di una gara a tappe, si traduce in un “invecchiamento temporaneo” della barriera intestinale, le cui maglie perdono la loro capacità di filtro dei nutrienti. Il risultato è un maggiore passaggio di allergeni e tossine nel torrente circolatorio, con conseguente aumento dello stato infiammatorio durante la gara e nei giorni successivi.
Proprio come succede a un setaccio vecchio e liso, allo stesso modo un intestino infiammato a causa di uno sforzo acuto non riesce più a distinguere tra sostanze desiderate e nocive, assorbendo entrambe le tipologie in maniera indiscriminata.
Lo stress ossidativo a carico dell’organismo a questo punto sale a picco e il danno non è più rimediabile perché la somministrazione di antiossidanti risolve solo una piccola parte della catena di eventi dannosi innescati.
La ricerca si sta indirizzando verso strategie che limitino a monte l’aumento di permeabilità della barriera e quindi lo stress conseguente (raffreddamento pre-gara del corpo, iper-idratazione, ottimizzazione del periodo di acclimatamento, training), anche per evitare che la ripetizione nel tempo di danni acuti per la partecipazione a più ultramaratone non sfoci nella condizione cronica nota come Leaky Gut Syndrome, letteralmente sindrome dell’intestino colabrodo.
Affrontare un’ultra in una situazione in cui la microflora intestinale non è in equilibrio o è anche solo parzialmente compromessa, rischia di sfociare in un danno acuto ancora più grave a carico della barriera intestinale. Le tecnologie oggi a disposizione ci permettono di analizzare lo stato della microflora, valutando l’equilibrio delle specie batteriche presenti (http://mymicrobiota.it/).
Nei mesi che precedono un’ultramaratona e nel periodo di avvicinamento, è  auspicabile integrare con probiotici e fermenti lattici: questo non solo in una dimensione preventiva dei meccanismi descritti precedentemente , ma anche in un’ottica di maggior efficienza energetica degli integratori assunti durante la gara.
I sintomi gastro intestinali, aspetto comune degli sport di endurance, caratterizzano molto di più il running rispetto ad altre tipologie di sport. Inoltre compaiono molto più frequentemente in uno stato di disidratazione rispetto alla normo-idratazione.
In uno studio sui partecipanti a un triathlon, il 93% ha riportato problemi alla parte superiore del tratto digerente (nausea, vomito, eruttazione, gonfiore), mentre il 60% dei partecipanti di una 100 miglia ha dichiarato problemi sia al tratto superiore (nausea in primis)  sia inferiore (crampi e diarrea).
Nelle gare a tappe l’insorgenza dei problemi gastrointestinali statisticamente colpisce gli atleti soprattutto nei primi 1-2 giorni, in una sorta di processo di adattamento dell’organismo alle difficoltà della gara. Alimentazione e idratazione vanno in questi termini di pari passo, poiché una disidratazione parziale predispone all’insorgenza di nausea e vomito, e pregiudica la capacità di assumere gel e integratori.
E’ quindi opportuno integrare acqua, sali e carboidrati in maniera estremamente frequente e regolare, cercando di non superare un quantitativo di carboidrati superiore ai 60g ogni ora di gara (che corrisponde al limite di assorbimento medio del nostro intestino); dosi superiori a questa soglia possono facilitare l’insorgenza di sintomi gastrointestinali.
L’iponatremia da attività fisica è la condizione in cui i livelli di sodio nel sangue sono inferiori a 3,1 g/L durante la competizione o nelle 24h successive. Sintomi iniziali molto generici, come nausea, vomito e mal di testa, sono riscontrati in oltre un quinto degli atleti ultra americani. Il peggioramento della condizione acuta, abbastanza raro, può sfociare in danni gravi al sistema nervoso centrale ed essere causa di coma o morte per edema cerebrale.
Seppur trascurata, è la causa a cui è stata ricondotta la morte di 6 atleti negli ultimi anni tra USA e Gran Bretagna.
L’eccessiva diluizione del sodio (componente del comune sale da cucina) nel sangue durante uno sforzo fisico prolungato rappresenta una minaccia per chi utilizza semplice acqua per la reidratazione.
Infatti durante un’ultramaratona le perdite non riguardano esclusivamente liquidi ma anche una massiccia componente salina, che va reintegrata progressivamente. La diluizione dei fluidi corporei non compensata può infatti ripercuotersi sulla funzionalità del sistema nervoso centrale e originare l’iponatremia.

Assolutamente sconsigliate, non solo in questi casi ma in tutto il periodo di allenamento dell’atleta, sono le acque iposodiche e ipomineralizzate. Il trattamento dell’iponatremia acuta è rappresentato dall’assunzione di soluzioni ipertoniche, spesso in grado di risolvere i sintomi di confusione mentale e nausea nel giro di 30 minuti. Nei casi più gravi la somministrazione avviene attraverso infusione endovenosa di soluzione isotonica.
( articolo tratto da trailrunning.it)